Uno dei problemi che maggiormente interessa il popolo italiano, ma che è scomparso dalle agende di tanti partiti prossimi candidati alle elezioni, è rappresentato dalla disoccupazione giovanile. Sembrerebbe quasi un paradosso, ma non lo è: nel corso degli anni sono aumentati i giovani laureati e sono diminuiti i posti di lavoro. Un’inversione che ha del pazzesco!
I dati attuali parlano di percentuali assurde:
35% di disoccupazione media in Italia, dati che superano anche il 50% in
posti di disoccupazione cronica come in Campania, Sicilia, Calabria e
Puglia (ultime quattro regioni per occupazione in Europa). Stessi dati
che assumono connotati ancora più negativi se comparati con quelli di
nazioni similari alla nostra sul piano economico: dato medio superiore
al 50% in Spagna, oltre il 55% in Grecia. Numeri che dimostrano come i
giovani di oggi siano veramente i facenti parti di una generazione
sbagliata.
Tutto ciò ha portato e sta portando enormi
conseguenze sul nostro modo di vivere e studiare: non si studia
ciò che piace, ma ciò che è richiesto dal mercato; si cerca di approfondire il più possibile un settore, per avere quel qualcosa di elite che possa darti una preferenza maggiore, nel mercato appunto; non ci si dà una visione nazionale del proprio futuro, extra-nazione rappresenta il punto di vista ormai classico. Il che, per un esterno, potrebbe anche sembrare opportuno: un giovane non si limita a ciò che gli viene offerto “di base”, ma cerca di ampliare i propri orizzonti. Da un punto di vista interno non è così, in quanto si vive una forte sensazione negativa riguardo il proprio futuro: l’estero è visto sempre più come probabile ma nessuno ha certezza sul futuro (ndr), figuriamoci in posti poco conosciuti; i soldi investiti in un’educazione più approfondita non danno mai sicurezza che siano investiti nel modo giusto. Una visione alquanto depressiva sul proprio futuro, forse maggiormente negativa di quella che potevano avere gli stessi giovani italiani del dopo-guerra. Lì c’era il mito degli Stati Uniti in pieno miracolo americano, oggi neanche più loro ci credono.
ciò che piace, ma ciò che è richiesto dal mercato; si cerca di approfondire il più possibile un settore, per avere quel qualcosa di elite che possa darti una preferenza maggiore, nel mercato appunto; non ci si dà una visione nazionale del proprio futuro, extra-nazione rappresenta il punto di vista ormai classico. Il che, per un esterno, potrebbe anche sembrare opportuno: un giovane non si limita a ciò che gli viene offerto “di base”, ma cerca di ampliare i propri orizzonti. Da un punto di vista interno non è così, in quanto si vive una forte sensazione negativa riguardo il proprio futuro: l’estero è visto sempre più come probabile ma nessuno ha certezza sul futuro (ndr), figuriamoci in posti poco conosciuti; i soldi investiti in un’educazione più approfondita non danno mai sicurezza che siano investiti nel modo giusto. Una visione alquanto depressiva sul proprio futuro, forse maggiormente negativa di quella che potevano avere gli stessi giovani italiani del dopo-guerra. Lì c’era il mito degli Stati Uniti in pieno miracolo americano, oggi neanche più loro ci credono.
Collegati a questa situazione ci
sono avvenimenti che lasciano anche basiti: da fonte del Corriere del
Mezzogiorno, oltre 22 miliardi arriveranno in Italia nei prossimi 5 anni
come investimenti vincolati per le nostre quattro regioni più indietro
sul livello economico, ed il quotidiano si chiede come sia possibile
con una fuga dei cervelli tanto forte come nelle nostre zone (ogni anno
centomila persone lasciano queste terre per cercare fortuna altrove)
riuscire ad ottenere ed utilizzare nel modo opportuno questi fondi. Il
quotidiano suggerisce l’adozione di una zona a sgravio fiscale speciale
per rilanciare investimenti sul territorio ed occupazione su larga
scala, offrendo magari elevati incentivi per settori specifici poco
sfruttati nel nostro territorio. Alternativa è la perdita dei fondi,
oppure la loro redistribuzione in fondi per il nord- Italia (neanche il
quotidiano lo sa bene, saranno sfiduciati anche loro?).
Anche nel
campo della settima arte ci sono molti lavori che parlano anche di
questa situazione: i più interessanti che ho visto sono Dubbio made in
Italy e Italy: love it or leave it.
Il primo è un brevissimo
corto di due ragazzi romani emigrati a Berlino, dove lavorano come video
maker. Ci parla delle loro sensazioni all’estero, di come ci si abitua
presto a burocrazia veloce e servizi svolti con dovere, ma di come il
senso di nostalgia sia sempre presente, ogni volta sempre più forte. Ma
loro concludono con un perentorio: “Ripartire? Certo che lo farei.”
L’altro è un documentario dello scorso anno che tanto successo ha avuto:
parla di due ragazzi, un romano ed un italo-tedesco, che a bordo di una
fiat 500 partono per scoprire l’Italia, ma quella vera: vanno quindi a
visitare gli ecomostri, gli imprenditori abbandonati a combattere la
mafia, i lavoratori sfruttati al sud, gli scempi perpetuati dalle nostre
imprese. Ma il loro finale è diverso; loro credono ancora nella nostra
nazione, decidono quindi di restare.
Volendo essere semplicistici, il problema dei giovani d’oggi si riduce a questo: partire o restare? Tu che faresti?
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