giovedì 24 maggio 2012

PAREGGIO DI BILANCIO: PERCHE' NON FUNZIONA

Nell’Aprile di questo anno, molto in sordina, è passata una legge costituzionale (n.1/2012): modifica dell’art.81, introduzione dell’equilibrio tra entrate ed uscite. Una norma che ci è stata imposta dall’Europa per far fronte alla crisi finanziaria, e che è già presente in altre nazioni, come Germania o Svezia, ed appena approvata anche negli Stati Uniti.
Anche se la stessa presenta la possibilità di derogare dal principio del pareggio tenendo conto delle fasi avverse del ciclo economico (ma con una maggioranza assoluta delle due camere), il pareggio di bilancio è per molti economisti uno “dei passi falsi” che un governo possa compiere in ambito economico. Nel particolare, avere un pareggio di bilancio significa far eguagliare, ogni anno, le uscite pubbliche con le entrate pubbliche, evitando di chiudere un bilancio annuale con una differenza, che spesso è negativa (deficit di bilancio). Se ciò può sembrare giusto per dare stabilità economica ad un paese, non lo è se si pensa alla sua applicazione in situazioni di improvvisa necessità di mezzi monetari. Ottenere un pareggio significa la non possibilità di indebitarsi: in situazioni particolari, come l’attuale crisi, l’unico modo per ottenere i mezzi da destinare agli ammortizzatori sociali oppure ad investimenti pubblici è quello di indebitarsi; senza questa possibilità, l’unica soluzione è aumentare le entrate, quindi le imposte sui cittadini, oppure togliere uscite dal lato della spesa.
Molti economisti famosi, fra cui 5 premi Nobel, hanno criticato questa scelta (non con riguardo all’Italia, ma con riguardo agli Stati Uniti), definendola una norma che porta alla soppressione del Welfare State. Pensandoci, in caso di crisi oppure di situazioni imprevista che richieda ingenti somme di denaro, l’unica soluzione è quella di “tagliare” dove non c’è emergenza, e questo riguarda quasi sempre lo stato sociale, con sanità, cultura e istruzione tra le prime voci ad essere colpite.
Forse servirebbe maggiore consapevolezza da parte di coloro che gestiscono le finanze pubbliche, maggiore criterio nella scelta di politiche economiche, invece di dar valore legislativo a norme che, invece di aiutare la stabilità economica-finanziaria, spingono sempre di più verso un “tagli e cuci” del nostro bilancio sempre più pericoloso.

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